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Testimonianza di Lara

“Non sembravo depressa. Ma lo ero.”

La mia storia di depressione post partum
di Lara Meloni

C’era il sole, fuori. Me lo ricordo bene. Era una di quelle giornate di inizio primavera che sembrano fatte apposta per dirti che andrà tutto bene. Ma dentro, invece, c’era buio. Un buio silenzioso, che non faceva rumore, ma che si faceva sentire in ogni gesto, in ogni respiro trattenuto. Avevo mia figlia tra le braccia, piccola, perfetta. E io mi sentivo rotta. Non poteva essere depressione, mi dicevo. Non doveva esserlo. Avevo voluto quella bambina con tutta me stessa. Avevo tutto quello che serviva per essere felice. O almeno così credevo.

Mi chiamo Lara Meloni e questa è la mia storia. Una storia che parla di maternità, di aspettative, di silenzi. Una storia che parla anche di rinascita. Ma non subito, e non senza fatica.

Avevo convissuto per anni con l’ansia e gli attacchi di panico. Li conoscevo bene. Con loro avevo stretto una relazione difficile: a volte li respingevo, a volte li accoglievo, a volte cercavo di ignorarli. Ma ero riuscita a trovare un equilibrio, grazie a un lungo percorso terapeutico e al mio psichiatra, che non ho mai lasciato. Quando sono rimasta incinta, stavo bene. Così bene che, insieme, abbiamo deciso di sospendere i farmaci, con cautela e attenzione. Volevo allattare. Come tante donne, avevo idealizzato l’allattamento: lo immaginavo come qualcosa di naturale, di istintivo, come il gesto più puro che potessi fare per mia figlia.

Durante la gravidanza, mi sentivo tutto sommato serena. Ma ogni volta che incontravo un* professionista della salute, sentivo addosso uno sguardo sospeso. Mi veniva chiesto se stavo bene, ma era come se la domanda vera fosse: “Quando crollerai?” Io non volevo dar loro questa soddisfazione. Così sorridevo. E continuavo.

Dopo il parto, i primi tempi me la cavavo. Ma sentivo dentro una tensione sottile, un conto alla rovescia. Poi è cominciata la discesa. Lenta, invisibile, ma costante. Ho iniziato a inseguire l’immagine della mamma perfetta. Una madre impeccabile, presente, sorridente, organizzata. Una madre che doveva riuscire da sola. Solo che con un neonato non funziona così. E ogni volta che qualcosa “non andava” – un pianto in più, una cena saltata, una lavatrice lasciata indietro – pensavo: “È colpa mia.”

Questa colpa mi rosicchiava dentro. Mi sentivo inadeguata. Cominciavo a provare invidia per la libertà del mio compagno. Lui poteva uscire, andare al lavoro, avere un momento per sé. Io no. I pensieri si accumulavano. Diventavano una voce. Poi quella voce diventava un urlo. E nessuno sembrava sentirlo.

Continuavo la terapia, ma non riuscivo nemmeno con il mio psichiatra a mettere a fuoco cosa stesse davvero succedendo. Ero diventata un’esperta nel mascherare tutto, anche a me stessa. Quando cercavo di accennare qualcosa, spesso le persone intorno a me minimizzavano: “Capita a tutte.” “Passerà.” Ma la depressione post partum non passa da sola. Non è una fase. Non è un po’ di tristezza. È una malattia. E come tutte le malattie, ha bisogno di essere riconosciuta e curata.

Io me ne sono accorta tardi. Quando i pensieri oscuri erano diventati troppo forti. Quando ho iniziato a credere che la mia famiglia sarebbe stata meglio senza di me. Che io, con la mia incapacità, stavo rovinando la vita a mia figlia. I primi mesi di Levi sono annebbiati nei miei ricordi, ma non dimenticherò mai il giorno in cui, in lacrime, ho passato mia figlia al mio compagno e ho detto: “Adesso non ce la faccio più.”

Non ho mai smesso la terapia. Forse è questo che mi ha salvata. Ma da lì ho capito che dovevo fare qualcosa in più. Ho chiesto aiuto. Ho cercato altre forme di supporto: corporeo, psicologico, relazionale. Ho provato anche terapie complementari, non in alternativa, ma come integrazione a un percorso clinico serio. E piano piano, ho ricominciato a respirare.

Non vi dirò che è stato facile. Non sarebbe vero. Ma vi dirò che è possibile. Che si può tornare a stare bene. E che da quella ferita può nascere qualcosa di prezioso.
Per me, è nato un impegno. Un’urgenza. Non conoscevo Periparto Svizzera quando stavo male. E oggi vorrei che nessun’altra madre si trovasse sola come mi sono sentita io. Per questo ho fondato l’associazione creiAMOci. Per questo ho creato RESET, un gruppo di auto-aiuto per genitori in difficoltà. Per questo racconto la mia storia, ogni volta che posso.

Se posso lasciare un messaggio, è questo:

Alle mamme: se sentite che qualcosa non va, parlatene. Non abbiate paura di sembrare fragili. Fragile è chi non ascolta, non chi chiede aiuto.

A chi le accompagna: non dite “passerà”. Dite: “Ti vedo.” “Ti credo.” “Ci sono.”

A tutte e tutti: la depressione post partum non è una parentesi. È una malattia. Ma non è una condanna. Con il giusto supporto si può guarire. E si può tornare a conoscersi, anche nella propria vulnerabilità.

Chiudo con due frasi che porto con me ogni giorno:
“Non serve essere perfette. Serve essere ascoltate.”

“La DPP non è contagiosa. I nostri figli non verranno infettati. Anzi, gli insegneremo che la mamma è una combattente. E che si prende cura di sé.”