Testimonianza di Francesca M.
Sono sempre stata una persona incerta sul desiderio di diventare madre. Non amavo particolarmente i bambini e spesso mi sentivo dire: “Con i tuoi sarà diverso.” Alla fine mi sono buttata, con la paura un giorno di pentirmi di non aver avuto figli, ma senza una convinzione totale.
La gravidanza l’ho vissuta in modo molto lucido e razionale. Ero felice, sì, ma in modo misurato. È stata una gravidanza serena, senza particolari problemi. Anche il parto è stato veloce, e la mia bambina è nata sanissima. Eppure, nel momento in cui me l’hanno appoggiata sul petto, il mio primo pensiero è stato: “Non vedo l’ora che mi diano qualcosa da mangiare.” Niente ondata di felicità, niente amore incondizionato improvviso. Primo campanello d'allarme per una testa come la mia che viaggia sempre a mille all'ora...
Appena tornata in camera con lei mi sono sentita persa. Ho passato tre notti senza dormire, vagando nei corridoi in lacrime. La montata lattea non arrivava e continuavo a chiedermi: “Ma non mi avevano detto che le donne allattano dall’alba dei tempi?”
A casa andava un po’ meglio, anche se tutto sembrava avvolto da una specie di filtro grigio. Il primo mese è trascorso in una bolla. Poi, man mano che la bambina ha iniziato a dormire qualche ora di fila, le cose sembravano migliorare. Lei, in realtà, era molto brava, sentendo anche le esperienze di altre mamme, e il mio compagno mi dava una grande mano con il biberon. Io, però, a volte non sentivo un vero legame. Piangevo dicendo al mio compagno che la bambina non mi volesse bene, che sentiva che avevo avuto dubbi prima di averla: lui poverino poteva solo ascoltarmi senza poter fare nulla per aiutarmi se non standomi vicino.
Tra i 6 e i 7 mesi ha iniziato ad ammalarsi spesso: un malanno dietro l’altro, incluse convulsioni febbrili. E io, che avevo ricominciato a lavorare full time, mi ritrovavo a incastrare lavoro, nido, cane e casa. La stanchezza e la frustrazione di quella vita lenta senza poter pianificare nulla erano enormi. In quei mesi stavo malissimo emotivamente e fisicamente: quando la bambina cercava il papà invece di me, soprattutto quando voleva essere presa in braccio da lui, reagivo in modo esagerato e sproporzionato. Mi sentivo rifiutata, risentita verso me stessa e anche verso di lei, nonostante passassi comunque molto tempo insieme alla bambina. E questo mi schiacciava ancora di più. Ancora non riconoscevo il mio corpo, che anzi con quello stress stava prendendo ancora piu' peso; mi sentivo la versione decadente di me stessa e non vedevo nessuna luce fuori dal tunnel.
I pensieri intrusivi andavano e venivano: “Sarò mai felice come prima?”, “Mi sono rovinata la vita?” “Ma io la amo questa bambina?.” seguiti da momenti di assoluta tranquillità. Mi confrontavo con altre mamme, altre storie, e mi sentivo sempre inadeguata. Anche i social, con le loro immagini di maternità perfetta, non aiutavano: alla fine li ho tolti completamente, e questo è stato uno dei primi passi che davvero mi ha permesso di respirare e liberarmi da confronti continui e tossici.
A maggio il mio compagno, con tanta gentilezza ma anche con una grande preoccupazione, mi ha detto che non riusciva più a vedermi così negativa e sofferente. È stato il campanello d’allarme di cui avevo bisogno. Ho capito che non potevo continuare così, e che chiedere aiuto non era un fallimento. Mi sono rivolta all’Associazione.
È lì che ho capito che molte delle cose che avevo vissuto erano normalissime, e che altre ancora erano il risultato di pressioni esterne e aspettative irrealistiche. Ho iniziato un percorso di psicoterapia che mi ha dato letteralmente una spalla su cui poggiare, insieme a una madrine dell'Associazione che mi ha permesso di avere un confronto aperto e sincero mamma-a-mamma. Ho chiesto aiuto anche al medico per gestire lo stress e il peso accumulati nell’ultimo anno.
E pian piano tutto è cambiato: io sono cambiata, e anche la mia bambina. Ha iniziato a interagire di più, a mostrarmi affetto in modi che prima non riuscivo a cogliere, e il nostro rapporto è diventato più forte, più sincero e più sereno. Ho ancora ricadute, pensieri intrusivi che adesso cerco di accogliere, e continuo con la psicoterapia anche se meno di frequente.
Oggi so che chiedere aiuto è stato il passo più importante che potessi fare, mi dispiace solo aver aspettato cosi' tanti mesi, pensando erroneamente che il post partum fosse un periodo circoscritto ai primi mesi dopo il parto. In realtà l'esperienza mi ha insegnato che puo' essere molto piu' lungo e tortuoso, bisogna avere gli strumenti giusti per affrontarlo.


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